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TRE ATTI VS KISHOTENKETSU. LA STRUTTURA NARRATIVA OCCIDENTALE E QUELLA GIAPPONESE A CONFRONTO

Quale ambito dell’intrattenimento può dirsi immune all’influenza e concorrenza del Giappone? Molti dei videogiochi più amati sono stati creati là e lo stesso vale per innumerevoli serie animate, manga e franchise seguiti e ammirati anche dal mondo occidentale.

Ma perché? Cos’hanno le loro storie di diverso rispetto alle nostre?

La cultura di provenienza e una differente sensibilità, ovviamente, ma oltre a ciò, entra in gioco un altro fattore: la struttura narrativa.

Quella occidentale è tripartita: inizio – sviluppo – fine. Teorizzata fin da Aristotele e portata alla sua forma attuale da sceneggiatori americani come Christopher Vogler o John Truby, è facile da notare soprattutto nei film. A prescindere dal genere, se una pellicola è occidentale, sappiamo grosso modo cosa aspettarci: un primo atto che presenta la quotidianità del protagonista per poi romperla in mille pezzi e costringerlo a buttarsi nell’azione, un secondo atto pieno di scene d’azione (appunto), nuovi personaggi, baruffe, colpi di scena, infine un terzo atto in cui si crea un nuovo ordine basato sugli eventi precedenti. Diamo per scontato che ci sarà un cattivo che incarnerà un difetto dell’eroe e una visione del mondo giusta soltanto in parte e questo conflitto tematico e personale sarà il cuore e il motore del film (o del libro o della storia in questione).

Invece la struttura narrativa giapponese è quadripartita e nota come Kishotenketsu. Ki (introduzione al protagonista e al mondo), Sho (sviluppo: date le premesse, il mondo si muove in una certa direzione e il protagonista agisce), Ten (sviluppo imprevisto, o, meglio complicazione: non è una traduzione esatta del nostro “twist”), Ketsu (conclusione). La presenza di una quarta fase permette di dedicare più spazio al mondo e agli altri personaggi e di avere una premessa del tutto slegata da un conflitto centrale che potrebbe addirittura non esistere. Nel caso di One Pièce, la premessa è: il viaggio di Rufy per diventare il re dei pirati. Lungo la sua strada Rufy incontra molti nemici, sia marines sia altri pirati che mirano al titolo, ma non c’è un solo antagonista che troneggia su tutti gli altri come Voldemort o Darth Vader e i suoi amici sono tutt’altro che spalle a malapena abbozzate. Inoltre a scene di conflitto si succedono risate, tragedie, misteri, esplorazione delle isole e del mondo… One Pièce è una narrazione di ampio respiro dove le lotte sono una parte importante, ma non l’unica e forse nemmeno la più rilevante. Oppure, in One Punch, la premessa è: che cosa succede quando un uomo diventa così forte da perdere ogni interesse a lottare, visto che gli basta un solo pugno per vincere? Sceglie di diventare un eroe per divertimento alla ricerca di un avversario in grado di batterlo, ma la trama non si esaurisce con questo; al contrario, si allarga fino a includere altri personaggi e un’altra importantissima domanda: come reagisce il mondo davanti a questo eroe così forte ma disinteressato a fama e fortuna? I conflitti tra protagonista e mostri cattivi ci sono, ma non sono il focus principale. Potrei continuare con gli esempi, ma il punto è che la Kishotenketsu può dare origine a storie meno legate al conflitto e con personaggi più approfonditi rispetto a quelle occidentali.

Detto ciò, è ovvio che non tutte le storie occidentali sono noiose e schematiche e quelle giapponesi tutte capolavori. La pensate diversamente? Vorreste conoscere ulteriori degli infiniti dettagli sullo storytelling e le differenze culturali che ho dovuto omettere per non scrivere un trattato? Siete incuriositi dal Giappone o preferite seguire storie a voi più vicine per cultura? Scrivete tutto nei commenti!

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