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Sul lieto fine

Il lieto fine è un topos a cui sono molto affezionata, ma non è privo di difetti. In questo articolo voglio parlarvene.

L’eroe/eroina combatte e, dopo errori, fatiche e sacrifici, vince e vede coronati i suoi sogni. Succede così in tantissimi libri, film, videogiochi, eccetera, al punto che è diventato qualcosa che tendenzialmente ci aspettiamo. Per reazione, molti affermano di preferire il finale tragico perché lascia un impatto diverso, ma non è scritto da nessuna parte che finale da tragedia greca = capolavoro assoluto e profondo. Il finale tragico lascia un senso di sospensione, tristezza, è qualcosa che il lettore/spettatore/giocatore continuerà a ruminare e a volte viene usato per mostrare cosa succede a chi continua a comportarsi in modo sbagliato (ad esempio nei numerosissimi film sul crimine dove, dopo infinite sparatorie e delitti, il protagonista muore).

Il finale buono, invece, aiuta a digerire meglio la storia e, se ben eseguito, lascia un senso di rinnovata speranza, energia e gioia. Se ben eseguito. Ci sono film che dopo innumerevoli peripezie si chiudono su happy ending all’americana piovuti dal nulla che stridono fragorosamente con il tema e/o il tono del resto del film e in tal caso è logico che lascino l’amaro in bocca. Ci sono anche storie dove l’happy ending sembra immeritato: magari il protagonista risulta antipatico e pigro, oppure i suoi nemici sono così potenti che servono un deus ex machina e/o circostanze del fato pesantemente favorevoli all’eroe per salvargli la pelle e vincere. L’happy ending è esattamente come il finale tragico e ogni singolo altro topos della scrittura: occorre usarlo bene per raggiungere l’effetto desiderato. I nemici dell’eroe sono troppo forti? Che l’eroe si alleni per avere una chance o, dopo dure lotte, riesca a conquistare un artefatto che gli dia la possibilità di combattere i cattivi sullo stesso piano. Non è nemmeno necessario che sia l’eroe a riportare direttamente la vittoria: può essere che ci riesca tramite il sacrificio di un alleato oppure tramite uno dei cattivi che sceglie di voltare le spalle al villain principale, magari perché impressionato dagli sforzi dell’eroe o in seguito a lunghe riflessioni sulle sue scelte di vita. Magari uno degli infiniti avvocati al servizio del cattivo inizia ad avere dei dubbi sul suo percorso professionale e lascia trapelare prove che l’eroe può lentamente raccogliere in attesa di lanciare una vittoriosa offensiva legale. Insomma, l’happy ending deve sembrare meritato e non del tutto implausibile per riuscire bene. Tutto ciò compatibilmente con le “regole” della storia in questione: se i personaggi sono tutti fortissimi combattenti che sopravvivono esplosioni e salti da treni in movimento senza neanche un graffio, sarebbe ridicolo e poco credibile se qualcuno (villain o altri) morisse cadendo giù dalle scale o nell’ennesima esplosione hollywoodiana. Tuttavia, nonostante i suoi difetti, continuo ad amare il lieto fine: è quello che dà più speranza e fiducia, quello che ci rassicura che non tutto è perduto e possiamo sempre fare la differenza, fosse anche nel nostro piccolo, che se non arriva un eroe a salvarci noi possiamo alzarci e o trovare aiuto o pensarci noi. Dati i tempi – e le mie continue ansie personali – penso sia questo il messaggio di cui abbiamo più bisogno.

E voi che ne pensate? Volete il lieto fine o le vostre storie preferite finiscono tragicamente? Leggete per capire come l’eroe riuscirà a scamparla e vi cascano le braccia se non è così o siete stufi degli happy ending visti, rivisti e mal preparati? Scrivete tutto nei commenti e buon anno!

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