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TANTI AUGURI, PACMAN!

In questi giorni è giunto il quarantesimo compleanno di un’icona videoludica che non ha bisogno di presentazioni: Pacman!

Negli anni Ottanta, all’apice della sua popolarità, era preferito addirittura a Topolino e tutt’oggi anche chi non è appassionato di videogiochi sa chi è: una bocca gialla intenta a divorare palline e fantasmini in un labirinto stilizzato. I suoi videogiochi possono presentare varianti rispetto alla versione classica, con incursioni nel platform o nel racing, ma lo charme di Pacman raramente viene intaccato.

In un’epoca in cui la tecnologia non andava oltre pochi pixel bidimensionali e i videogiochi erano prevalentemente simulazioni più o meno realistiche di guerre, Pacman spiccò subito per il design kawaii carino e “puccioso”, il pacifismo e l’originalità. Il suo creatore, Tori Iwatani, lo creò pensando a come attirare nelle sale arcade il pubblico femminile, poco attratto dalla violenza degli altri titoli. Il gioco superò ogni attesa, macinando numeri da capogiro e costringendo numerosi bar a ricorrere a contromisure per evitare che i clienti spendessero soldi solo sul cabinato di Pacman. Più di venti anni dopo, la scelta di Google di omaggiare Pacman con un suo piccolo labirinto giocabile dal logo del sito, portò alla perdita di milioni e milioni di ore lavorative, confermando ancora una volta quanto il gioco sia accattivante.

Pacman fu il primo videogioco con personaggi riconoscibili, cutscenes… e molti, troppi cloni non autorizzati. Da uno di questi (creato dalla Midway) avrebbe visto la luce Miss Pacman, il primo protagonista femminile rilevante nella storia dei videogiochi. I quattro fantasmi, Inky, Blinky, Pinky e Clyde (i cui nomi originali sono letteralmente Inseguimento, Imboscata, Capriccioso e Lento) diventarono altrettanto famosi e costituiscono un esempio tuttora studiato di intelligenza artificiale ben applicata. Il giocatore, difatti, ha l’impressione di combattere con delle menti sviluppate almeno quanto la sua, anziché contro anonimi nemici generati dallo schermo. L’immediata comprensibilità lo rende giocabile da chiunque e davanti al suo design, come sottolinea lo stesso Iwatani, “è facile comprendere che tratta di un’entità gentile e pacifica, un protagonista creato per emanare un’aura amichevole”.

Il design, l’accessibilità e l’aura di innocenza e pace sono caratteristiche di Pacman che stanno alla base del suo successo e longevità. Pur essendo meno rilevante di com’era un tempo, i suoi giochi sono tuttora disponibili su Android e vari store online e non mancheranno di accompagnarci nel futuro.

Vi è chi vede nel labirinto complesse allegoria sulla società o la salute umana, ma io preferisco pensare che sia volutamente astratto e non celi niente se non la sete di gioia, pace, vita e innocenza che animavano molte serie animate e videoludiche degli anni Ottanta. Sperando di recuperare un po’ di quello spirito, ancora tanti auguri, Pacman.

Sapevate che un’altra ispirazione per il design (stavolta dei fantasmini) venne a Iwatani da una serie animata del 1965 chiamata Obaque no Q-Taro? O delle origini poco ortodosse di Miss Pacman? Se volete che faccia un articolo interamente dedicato a curiosità poco note sul nostro amico giallo e i fantasmini, fatemelo sapere nei commenti!

Le parole di Iwatani sono tratte dal numero due dell’ottima ma sfortunatamente defunta rivista Retrogame Magazine e per ulteriori approfondimenti, consiglio i libri di cui ho messo le foto su Instangram. Continuate a seguirmi!

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