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SULLA STRUTTURA DELLE STORIE

Un argomento ricorrente nelle mie chiacchierate con daununiverrsoallaltro è la crisi dell’editoria, ma anche del cinema e di come una possibile causa sia la standardizzazione che ha colpito questi medium. Se intravedi un romanzo di un determinato genere sai già a grandi linee come si svolgerà e finirà e lo stesso capita con la maggior parte dei film.

Da un lato non c’è da stupirsi; amiamo e torniamo ai generi letterari/cinematografici che preferiamo perché ci piacciono certe loro caratteristiche ricorrenti, ma può succedere che queste ultime diventino una gabbia monotona e prevedibile. Sono cambiati i nostri gusti? O chi crea quelle storie pensa prima a come toccare i topoi del genere e dopo a buttar giù una buona storia?

Vi sono scrittori – soprattutto emergenti – che sarebbero in difficoltà senza dei buoni manuali di scrittura che insegnino loro a dare coerenza alle loro opere, ma a mio avviso quei libri sono un’arma a doppio taglio. Certo, senza seguire qualche convenzione qualsiasi storia diventa incomprensibile, ma d’altra parte ogni storia ha un equilibrio diverso. Una storia in cantiere potrebbe risultare noiosa per la mancanza di conflitto e il problema di un’altra potrebbe essere un conflitto troppo calcato. Conoscere quelle regole è come imparare la grammatica: appresi i fondamenti, poi tocca a te comporre le frasi.

Raccontare storie è l’esatto opposto dell’architettura o di qualunque branca matematica: non esistono regole sempre valide, ogni autore deve sforzarsi di trovare la propria voce e il proprio modo di approcciarsi alla scrittura. Imparare la struttura delle storie è come un’arte: va imparata e poi messa da parte, come quando impariamo a camminare e dopo non pensiamo più troppo a come compiere i passi, perché le storie siano gradevoli, comprensibili e – perché no? Ascrivibili a un determinato genere – senza risultare banali.

Pensavo a questo problema anche in rapporto a me stessa: a unire tutti i miei libri non è uno stile e nemmeno un genere, bensì una poetica che vede nella fantasia uno strumento di evasione, intrattenimento e contemporaneamente qualcosa per affrontare meglio la realtà. Suppongo sia anche per il fatto che ogni scrittore continua a crescere e che ogni libro è diverso: un saggio umoristico sarà scritto diversamente rispetto a una storia d’esplorazione o un urban fantasy.

L’arrivo dei fantasmi è particolare non solo per il genere, ma anche per la struttura. C’è una storia che si snoderà lungo i capitoli, ma i capitoli in sé mancano dell’asciuttezza che li caratterizza solitamente. Hanno il sapore di episodi di un cartone animato: alcuni muovono la storia più velocemente di altri, altri concedono ai personaggi i momenti necessari per mostrarsi, brillare e maturare senza tuttavia mai scadere nella lentezza o nella noia. C’è chi lo vedrà come un punto di debolezza, ma data la presenza di personaggi provenienti da un fittizio cartone animato, mi sembrava corretto che la struttura della storia rispecchiasse alcune modalità tipiche dei cartoon cercando un equilibrio tra sperimentalismo e chiarezza. Volevo ricreare la sensazione di certe serie che ti fanno affezionare subito ai personaggi ma al contempo riescono a sorprenderti perché non saprai mai tutto di loro.

E voi cosa ne pensate? Ci sono archetipi e topoi letterari di cui non vi stanchereste mai o iniziate a esser stufi delle solite storie? Vi piacciono i cartoni animati? Se sì quali? Scriveteli nei commenti e andate a leggervi l’articolo di daununiversoallaltro e il mio ebook Cartoni esaminati!    

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