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5 Cliché rovinati dall’uso

5 cliché usatissimi particolarmente a rischio di creare sbadigli e arrabbiature ai lettori. Parliamone

 

Le storie esistono da quando esiste l’uomo e non è semplice inventarsi qualcosa di nuovo od originale in materia, ragion per cui è comprensibile che non appena un autore ci riesce e viene premiato dalle vendite, si creino orde di imitatori. Non è necessariamente un male, ci sono talenti che emergono in questo modo e sono capaci di superare il modello, ma non sempre accade; più spesso ciò che all’inizio era visto come qualcosa di nuovo ed eccitante diventa (o c’è il rischio che diventi) un cliché ripreso in maniera pedissequa, noiosa e/o inesatta da scrittori non sempre brillanti.

 

L’idea che se ci credi esiste/funziona, se no crolla tutto ricorre nei fantasy, specialmente per bambini, ma si trova anche in storie di fantascienza, dove la suggestione indotta da fonti esterne (macchinari, scienziati pazzi o altro) rischia di ammazzare i protagonisti o l’umanità intera. La Storia infinita ne fa un buon uso, è interessante quando costringe il/la protagonista ad affrontare ciò che teme di più a rischio della vita o abbandonare bugie/errori in cui credeva, ma l’ho vista tante, tante e tante di quelle volte che quando il plot twist è questo mi viene da girare gli occhi. È anche piuttosto discutibile quando viene applicato alle malattie mentali; certo, esistono pessimi soggetti che fingono di averne, ma sono un problema reale per tantissime persone; l’amore e il credere di poter guarire possono aiutarle, ma non far sparire magicamente la malattia (come troppi film illudono).

 

Sulle sette segrete ho già scritto, ma vale la pena ripetermi un attimo per accennare a quelle dedite al culto di esseri portentosi volti a distruggere l’umanità. È un cliché che può spiegare e originare ogni sorta di ostacoli per il protagonista, aumentare la suspence (di chi fidarsi?) ed essere un trampolino di lancio per esplorare la storia o altri aspetti del mondo (come e perché è nata la setta? Come funziona?) e lati particolarmente oscuri della psiche umana senza nulla togliere alle scene d’azione. È estremamente conveniente per lo scrittore, quanto già vista dai lettori più di un triliardo di volte. È dura levarsi l’impressione che sia solo un generatore di guai e nemici senza volto né anima che il protagonista possa ammazzare senza rimorsi. O l’ennesimo pretesto per esplorare in maniera riduttiva, spettacolare e voyeuristica aspetti deleteri del comportamento umano (esistono narrazioni in grado di farlo in modo migliore e più sensato, ma assai raramente includono questo cliché).

 

Mi rendo conto che è un mio gusto personale, ma è un fatto oggettivo che i protagonisti orfani sono troppi. Più in generale, non sopporto quando il lutto/la tragedia (pregressi o meno) è usato come scorciatoia per forzare lo sviluppo di un personaggio o giustificarne azoni nefande. Serve un protagonista bambino più pacato e maturo rispetto alla media dei coetanei? Bum, genitori morti, problema risolto. Serve un personaggio tormentato o che uno da buono/grigio passi a cattivo? Tragedia, tragedia, tragedia e ancora più tragedie assortite. Molti pensano che sia l’unico modo per rendere interessante e complesso un personaggio, ma non è affatto così. È interessante vedere un personaggio ottimista che riesce a mantenersi saldo in questo e nei propri principi nonostante il dolore o circostanze avverse. Oppure imparare che il suo ottimismo e apparente buon umore non sono superficiali (e/o fastidiose per chi gli sta intorno), bensì frutto di sue precise decisioni o eventuali tragedie senza per forza scavarci con gusto voyeuristico o fotorealismo al millimetro. Possiamo camminare accanto a lui/lei mentre matura tra le lacrime (e per questo non servono per forza le tragedie, a volte anche delusioni, chiacchierate importanti, imprevisti, libri o storie coinvolgenti aiutano a crescere).

X può avere delle ottime ragioni per avercela con Y (o il sistema giudiziario, o altro ancora), ma questo non giustifica reazioni che vanno dalla catena di omicidi allo sterminio dell’umanità (per inciso Thanos aveva torto, servono moltissime risorse umane usate bene per una buona crescita). Comprendere non significa giustificare. È per questo che è importante studiare la Storia: comprendere il contesto in cui sono nate idee e azioni deleterie ci può essere d’aiuto a evitarne in futuro e niente di tutto questo implica giustificare.

Detesto quando un cattivo ne combina di cotte e di crude, dal genocidio passando per la tortura fisica o mentale o l’omicidio di un personaggio amato, o altro ancora, ma poi viene fuori che ha una storia triste e l’autore si aspetta che il lettore ci provi simpatia e magari pensi che a essere cattivo sia il buono. No. Sai, no.

 

Le protagoniste femminili (troppo) forti si incontrano più facilmente nei film che nei libri, ma mi annoiano in egual maniera. Indipendentemente dal sesso, se un personaggio è perfetto fin dall’inizio, si crede superiore agli altri, tratta male chiunque gli stia intorno e non gli sia sottomesso e pretende/vede l’intero universo piegarsi per fargli ottenere ciò che vuole, è insostenibile. La forza fisica da sola non basta per rendere un/una protagonista interessante, ben scritto/a o piacevole da seguire.

Sono l’unica a provare un senso di inadeguatezza e insoddisfazione quando vedo una protagonista mettere a tappeto dieci uomini con una mano sola, mentre io fatico a sollevare più di due buste della spesa colme? Esattamente, quanti decenni di palestra e lezioni di arti marziali dovrei fare per arrivare a quei livelli che una tredicenne avrebbe già raggiunto semplicemente credendo in sé stessa?

Il messaggio che una donna è tanto più apprezzabile quanto più imita gli aspetti maschili peggiori/più stereotipati (tra cui la mancanza di emozioni, il pretendere di fare da sola, il disprezzo per ciò che è tradizionalmente considerato femminile) è quanto meno discutibile, se non apertamente sessista. Eppure in storie antiche di secoli compaiono figure simili: vergini guerriere, donne corazzate capaci di imprese militari non meno dei colleghi maschi. Rigettavano ciò che si chiedeva alle donne (matrimonio, maternità, cucito e simili), erano coraggiose e con un temperamento spesso impetuoso, ma erano molto di più. Al pari dei colleghi maschi/di qualunque essere immaginabile come umano, avevano momenti di vulnerabilità, dubbio e turbamento interiore, cotte, persone a cui tenevano e che volevano proteggere, principi, motivazioni personali per combattere o agire come facevano, e per quanto forti non erano invincibili. A volte l’armatura era un simbolo di un rapporto col proprio corpo non del tutto positivo e per raggiungere la maturità dovevano fare un po’ di strada (che non comportava soltanto lo spogliarsi o trovare l’uomo giusto).

Lo ripeto: la forza da sola non basta a rendere i personaggi femminili rilevanti, interessanti e memorabili.

 

E per finire, un altro cliché usurato che si fa odiare facilmente è il finale introspettivo. Dopo infinite disavventure, disgrazie, morti, decine e decine di stagioni o libri, viene fuori che il tesoro era dentro di te, che la scatola di Mc Guffin per cui si sono combattute intere guerre era vuota o conteneva oggetti simbolici privi di valore, che contava il viaggio e non la destinazione, che era tutto un sogno. Come finale per un libro di poesie o una storia introspettiva è perfetto, ma se il genere è un altro è impossibile non sentirsi presi in giro. Se nelle primissime battute della storia hai assistito a un omicidio, un fatto sovrannaturale o qualcosa di pazzesco che esige una risposta e i personaggi si arrabattano e muoiono per arrivare a questa risposta, non riceverla alla fine è uno sputo in faccia. È accettabile se fin dalle prime battute la storia mette in chiaro che ha carattere evocativo e non è da prendere alla lettera, ma in caso contrario viene da urlare.

La morale che una vita semplice è buona non è affatto cattiva, ma va preparata in modo consono. Un semplice montaggio che mostra x che è ancora ossessionato dal tesoro mentre y ha abbandonato la ricerca e vive felice e tranquillo con la sua famiglia può bastare. Se il tema è che la ricerca delle ricchezze porta alla follia, il tesoro può esistere benissimo.

 

E voi? Qual è un cliché che avete visto troppe volte? Scrivetelo nei commenti!

 

 

 

 

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