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Perché non riesco a staccarmi da questi manga

I manga sono nati in Giappone, ma si sono diffusi anche in Occidente dove contano molti lettori avidi, me compresa

 

Nei miei resoconti di letture a fine mese finiscono spesso alcune serie giapponesi e oggi voglio parlarvene più nel dettaglio.

 

La prima che ho conosciuto tra queste è tanto amata quanto famosa: One Piece. Con i suoi oltre cento volumi, è considerata “la serie dei record” tanto per la sua lunghezza, quanto per gli introiti e l’ottima qualità della narrazione; pur non essendo perfetta, il suo uso delle semine narrative (cioè menzionare cose a caso che poi tornano e ti rendi conto che lì il caso non esiste), i suoi personaggi cartooneschi e carismatici e il mondo vibrante estremamente ben costruito, ne fanno un capolavoro, uno dei casi in cui una storia mainstream merita tutto quanto l’hype che ha.

 

Di solito, nelle storie corali, ho problemi a ricordarmi i ruoli e i nomi dei personaggi, ma mai con One Piece, vuoi per il character design che rende assolutamente impossibile annoiarsi o non riconoscere subito qualcuno, vuoi per i brevi riquadri con nome e ruolo del suddetto personaggio. Sono anche scritti superbamente.

 

Mi imbattei in questa serie in edicola e, come innumerevoli altri, finii ben presto sotto il suo incantesimo. I primissimi archi narrativi sembrano noiosi rispetto a quelli più recenti, ma vi assicuro che letti per la prima volta reggono benissimo. È una storia di azione, pirati, marines, governanti che danno il peggio (più raramente il meglio) di sé, eroismo, segreti, alternanza di toni, uno stile grafico che ho amato da subito (al pari dell’autore, amo i cartoni animati vecchio stile), spirito di avventura, personaggi ben scritti al punto che è difficile pensarne a uno mal scritto senza scomodare materiale non canonico, una mescolanza di generi perfettamente riuscita e piena di creatività nonché riferimenti al mondo reale e altri fittizi…

 

Ho soltanto sfiorato la superficie del perché amo One piece e penso che questa serie meriti tutto, ma se ne parlassi in modo completo e soddisfacente, occuperei l’intero articolo, se non un libro intero.

Potete trovare facilmente analisi più accurate e complete di questa sia nel web che tra i libri; non potrebbe essere diversamente, visto che è la storia / romanzo di avventura più importante, complessa e amata degli ultimi decenni.

 

 

Una serie che appartiene allo stesso genere di One Piece (lo shonen, ossia storie d’azione per ragazzi) ma molto più recente è Black Clover. La sua versione animata è famigerata, ma avendola da sempre approcciata nel cartaceo, il tono di voce del protagonista, Asta, non è mai stato un problema. Dall’esterno, Asta è poco più di un ragazzino mitomane con grandi ambizioni, incapace di mentire e che urla tutto il giorno le proprie convinzioni. Ma date le situazioni in cui è venuto a trovarsi in passato e nel presente, è praticamente impossibile non provare rispetto e ammirazione per lui: è nato senza magia in un mondo dove tutti la possiedono ed è data per scontata, è bullizzato, nonché alle prese con nemici di difficoltà crescente e spaventosa che persino gente più forte stenta a trovare il coraggio di affrontare.

Acquisito il potere dell’antimagia (ossia di annullare le magie altrui) inizia la strada durissima verso la carica di imperatore magico, prestigiosa ma esposta a immensi pericoli per proteggere il regno.

 

Il meccanismo tale per cui Asta si butta nel pericolo e nel farlo finisce per incoraggiare i suoi compagni d’arme (che pensano “‘sto svitato senza magia ci sta provando, che scusa ho io per fuggire e non dare il massimo?”) non smette di essere toccante, o almeno non per me. Oserei dire che senza il suo spirito sarebbe morto già nei primi capitoli e molti altri con lui.

Il mondo dove vive è pieno di classismo, panorami, posti curiosi e segreti pericolosi legati alla magia; adoro come l’autore espande lentamente il palcoscenico fino ad arrivare all’ultima parte della saga dove la scala è globale e il nemico così forte che non ho idea di come lo sconfiggeranno (e nemmeno i personaggi).

 

La compagnia che lo accoglie è il Toro Nero, un’accozzaglia di reietti, ma pian piano i personaggi si sviluppano e diventano interessanti e a tutto tondo, tali per cui è impossibile non amarli e farci il tifo. È una gioia vederli sviluppare e diventare un gruppo coeso.

 

Noelle è diventato uno dei personaggi femminili più amati e meglio scritti in questo genere; parte come una nobile arrogante e imbranata, ma piano piano matura, diventa capace di controllare appieno il suo potere e contribuire attivamente alla trama e alle lotte più difficili. Tutto ciò col suo duro lavoro e costanza; quanti scrivono personaggi femminili forti solo fisicamente che sono perfetti e arroganti tutto il tempo, e trovano normale e giusto che l’universo si pieghi ai loro voleri, dovrebbero prendere nota.

 

Di solito sono contraria alle conversioni dei cattivi dopo che hanno fatto atti veramente orrendi, ma quando Asta va letteralmente nella mente del bastardo di turno per spingerlo a non morire, non lo fa per pura bontà: vuole che viva per riparare a tutto quello che ha fatto di sbagliato e toccarne con mano le conseguenze, e ne sconti la pena, anziché sfuggirvi con la morte. È un approccio che suona così tanto più vero, meno ipocrita e migliore rispetto sia ai forcaioli, sia a quelli che banalizzano la gravità dei crimini e il dolore delle vittime, che mi è venuto da applaudire.

 

Al profondo del cuore di Asta, c’è una volontà indomabile, ma anche un grande cuore e un profondo senso di umiltà che suona cristiano. Non si lamenta mai, non colpevolizza, non serba rancore, non perde mai la speranza e se la smarrisce va a ritrovarla o se la crea, fosse anche con una manovra temeraria. A volte fa girare gli occhi, ma nel complesso vorrei dargli un abbraccio.

Questa serie è molto più recente e corta rispetto a One Piece ma, come sopra, se ne parlassi in un modo che reputi soddisfacente e completo riempirei l’articolo se non un libro.

 

Per prenderci una pausa dallo shonen, voglio ora parlarvi di una serie pluripremiata più vicina al genere psicologico: Atelier of witch’s hat. Lo stile dei disegni è splendido, sembra quello dei libri per bambini, ma la storia tocca temi maturi e difficili, pur senza mai mostrare apertamente violenza e scene scioccanti. La protagonista è Coco, una bambina che ha sempre amato la magia pur essendone priva. Giunta in possesso di un libro proibito, trasforma per errore la madre in una statua di pietra; nella speranza di scoprire come rompere l’incantesimo, inizia un viaggio per imparare la magia, con l’aiuto di maestro Geoffrey che le svela il segreto. Contrariamente a quanto fanno credere, la magia non dipende dal sangue: chiunque può esercitarla tracciando dei segni. I maghi lo tengono segreto al mondo e hanno molte regole la cui applicazione è malvista da alcuni maghi ribelli che portano cappelli a punta. Questi ultimi costituiscono un elemento ambivalente e perturbante; nove volte e mezza su dieci compiono azioni orrende, ma più di una volta sorge il sospetto che non abbiano tutti i torti: i maghi sono effettivamente bugiardi tutt’altro che integerrimi che detengono il potere e hanno reso illegale la magia curativa più efficace perché comportava tracciare segni sul corpo, ora considerato il più grande dei tabù.

Coco, che era partita con fare speranzoso, è sempre più alle corde, divisa tra ciò che appare giusto, le regole dei maghi e le continue insidie e crimini dei cappelli a punta. La storia – almeno in italiano – è arrivata al decimo volume, al momento di massima crisi per Coco e posso solo augurarle di passarla e recuperare se non l’innocenza, la capacità di trovare la via d’uscita come ha fatto finora.

Questa serie è bellissima, se volete procurarvi drama e traumi in mo(n)di incantati, non potete perderla. Io ormai ne sono troppo presa per mollare e apprezzo tantissimo il modo delicato eppure straziante, altre volte speranzoso, con cui tratta i temi.

 

Il punto in cui Coco guarda un crocicchio di strade e pensa ad alta voce che dovrebbe essere possibile modificarle in modo che tutti possano percorrerle, compreso il loro amico disabile, è tanto profondo, eppure semplice, toccante, nonché molto più intelligente dell’approccio di chi vorrebbe distruggerle e ricostruirle ex novo con la pretesa di saperne di più.

 

Un’altra serie forse ancora più psicologica e spaventosa è Shadow’s house. La protagonista, Emiliko, è la bambola vivente destinata a servire la nobile ombra Kate; ma quest’ultima è davvero un’umana? Nonostante il lusso, la villa in cui abitano loro e altri bambini sembra più una prigione con regole strampalate che non una dimora nobiliare. La premessa è molto semplice, le scene d’azione scarseggiano e una parte consistente della storia si svolge in interni che suggeriscono un’idea di prigionia nonostante la bellezza, ma il senso di tensione, soffocamento e tragedia in agguato rende questa storia un unicum e meritevole di essere letta.

Lo stile dei disegni fa rimanere a bocca aperta e mi spiace di non potermi immergere in un’analisi dettagliata senza fare spoiler. Posso solo dirvi che ogni bizzarria ha una sua ragione di esistere, ma la risposta alle domande più urgenti è tale che quasi si invidia l’ignoranza di certi personaggi.

L’intrigo abbonda e così i pericoli indiretti da cui guardarsi.

Imbastire una storia “lenta”, bella e di successo non è affatto semplice e l’autore merita davvero che mi tolga il mio metaforico cappello.

 

Negli horror molto spesso il pericolo è il mostro che va in giro e da cui bisogna difendersi, ma qua l’insidia è molto più sottile, ma non meno letale e agghiacciante.

Di nuovo, posso solo applaudire.

 

Ora, la pausa ce la prendiamo dalle schermaglie psicologiche per approdare all’unica serie comica che sto seguendo: Mashle- magic and muscle. La premessa è una fusione tra Black Clover ed Harry Potter: in un mondo dove la magia esiste e i maghi sono classisti fino e oltre il razzismo, il protagonista è uno dei pochissimi che ne è privo e si ritrova, per salvare sé stesso e il nonno, a frequentare la più prestigiosa scuola di magia con l’ordine di raggiungere il rango più alto. Sarebbe la premessa di un dramma, se solo il protagonista non avesse muscoli che gli consentono di fare mezzi miracoli e ignorare le leggi della fisica; la sua morale è altalenante (aiuta chi è in difficoltà, ma non gli piacciono i bulli e se si tratta di menare le mani contro di loro ha zero scrupoli) e unita al suo poco cervello lo rende affine a certi personaggi delle favole che sono (o sembrano) stupidi, ma risolvono la situazione nel 99,9% dei casi.

 

Lo stile dei disegni non mi è piaciuto subito, ma ho finito per realizzare che quelle facce distorte e minimaliste erano reazioni appropriate davanti alle assurdità del protagonista.

Ad esempio quando respinge gli incantesimi a pugni. O quando usa letteralmente un trucco da prestigiatore per far credere all’insegnante di aver trasformato una pallina in un topo.

Adoro questa serie, ma ammetto che se non fosse per il protagonista non riuscirei a sopportarla; i maghi sono cattivi in modo caricaturale e insostenibile e il mondo non ha ancora nulla in grado di incuriosirmi (o almeno, non fino al terzo volume).

 

Una delle ultime serie che ho conosciuto in ordine di tempo ma già amo un sacco è Shangri-la Frontier. Quest’ultimo è il titolo di un videogioco fittizio in cui è possibile immergersi con la realtà virtuale ed è lì che il protagonista, videogiocatore provetto, decide di cimentarsi. I personaggi non giocanti sembrano fin troppo intelligenti e umani e ci sono indizi che quello sia tutt’altro che un semplice mondo virtuale. Quest’ultimo è comunque pieno di personaggi e luoghi memorabili e meritevoli di interesse. Adoro le interazioni tra il protagonista – che nonostante la maestria non è immune agli scivoloni – e i suoi compagni di gioco, alleati, amici, ma anche gente che in altri giochi si atteggiava a villain. La caratterizzazione non è profondissima, ma è più che sufficiente perché ognuno abbia la sua personalità, un passato, i suoi obbiettivi e buone ragioni per agire come agisce; devo ancora incontrare un personaggio inutile o noioso e non è poco. Scoprire assieme a loro i segreti di questo mondo (che potrebbe non essere un) gioco è il motivo principale che mi spinge a voler leggere questa serie ed è un desiderio così ardente che sto leggendo la versione inglese scaricandola sul mio tablet perché è più avanti. Le scene d’azione sono facili da seguire e lo stile dei disegni è ben fatto, mai sgradevole, né confuso. Adoro questa serie, l’unica pecca è che se il lettore non ha mai toccato un videogioco e ignora il concetto di so bad it’s good faticherebbe a seguirla. Non vado matta per il character design del’avatar del protagonista, ma ho finito per abituarmici.

 

Kaiju n. 8 è un altro shonen che ho scoperto di recente e con cui devo ancora mettermi in pari. In un mondo dove mostri giganti attaccano il mondo, vi è l’urgenza di professionisti in grado di fronteggiarli; ma se l’amica del protagonista è diventata uno dei difensori più forti dell’umanità, lui non ha mai passato quegli esami e si ritrova trentenne, insoddisfatto e impiegato a ripulire i resti dei suddetti mostri. Il non aver mantenuto la promessa con l’amica di combattere al suo fianco gli rode il cuore, ma non può farci nulla … fino all’incontro con un mostro misterioso che gli dà il potere di trasformarsi da umano a kaiju e unirsi alla battaglia in un modo tutto suo!

 

Trovare eroi più che trentenni non è così frequente e l’alternanza di toni comici e seri rende questa serie impossibile da mettere giù, almeno per me.

 

L’unica pecca? Nell’ultimo volume che ho letto, il quinto, per cui do avviso di spoiler  il protagonista, proprio quando inizia a farsi accettare per i suoi poteri che è stato costretto a rivelare, e gli servono di più, svaniscono di punto in bianco. Volevo urlare. All’autore non bastavano tutti i casini di prima? Delle possibili svolte/complicazioni di trama nei fantasy, questa è una di quelle che odio di più in assoluto. È frustrante anche nella vita reale sbagliare in pubblico una cosa che sai fare, non ho bisogno di riprovare quella vergogna per interposta persona, grazie.

 

Capitan Corinth è invece tratto da un web-novel. Le prime pagine sono costituite da una marea di informazioni sparate alla massima velocità, ma dopo la lentezza estrema di certe storie che avevo letto in quel periodo, è stato come un tuffo in piscina dopo il caldo. Il succo è che l’umanità è riunita in un unico impero spaziale che è sotto l’attacco di alieni antropofagi; il protagonista è Corinth, un soldato imperiale facente parte di una missione incaricata di scoprire il luogo di origine di questi esseri. L’astronave in cui viaggiano viene attaccata, Corinth è l’unico sopravvissuto e per continuare a esserlo viene catapultato in un pianeta abitabile nelle vicinanze. Quel pianeta è uno di quei mondi dotati di un’energia particolare che consente operazioni simili alla magia. Lì incontra una ragazza in difficoltà che lui cura con l’aiuto della tecnologia, mentre lei gli insegna la lingua.

La storia procede nel secondo volume e mentirei se dicessi che l’unione di aspetti fantasy con altri fantascientifici non mi intriga. L’unica cosa che potrebbe spingermi a smettere è la violenza; ce n’è molta, ma non escludo che si trovi soprattutto nel primo volume o in flashback. Sono mesi che voglio proseguire, ma la doppia torre degli acquisti al salone di Torino mi guarda così male che vorrei evitare altri acquisti librari fino ad agosto … se ci riesco.

 

L’ultimo manga che sto seguendo è un fantasy rosa, The fiancee chosen by the ring. La protagonista è una nobile con la passione per il ricamo che, a un ballo, viene colpita al volto da un anello il cui proprietario dichiara che sia magico e l’ha scelta come sua fidanzata.

 

Nella scena dopo, lui è sobrio, in ginocchio, a chiederle perdono; le confessa che era una bugia urlata in un momento di ebbrezza ed esasperazione per le richieste di matrimonio che lo assillano. I due accettano di ufficializzare il fidanzamento per scampare da simili richieste che sono un problema per entrambi, ma ben presto, con sorpresa di nessuno, tra i due inizia a nascere qualcosa.

 

Lui è molto serio sul lavoro di cavaliere magico, è uno dei più forti, e nel privato sembra solo essere stanco, vuoi per la pressione, vuoi per i tanti impegni. Lei è invece più timida e introversa, ma questo non le impedisce di dirne quattro a chi lo merita, decidere del suo futuro e pesare nella trama in molti altri modi. I personaggi non sono capolavori di profondità, ma a differenza di molti altri rosa hanno personalità, ambizioni e capacità decisionale (non sempre li porta a optare per il meglio, ma questo è normale). Il mondo ha dei tocchi interessanti, ad esempio quando si scopre che lei infonde nei suoi ricami un antico potere magico che il principe è intenzionato a investigare, sebbene sia più debole rispetto alle tecniche moderne.

Se penso a una protagonista timida e buona che però non è uno zerbino totale, lei è un ottimo esempio – tranne in un punto nel secondo volume.

Lo stile del disegno è molto bello e gradevole, aiuta a immergere nell’atmosfera di questo impero magico difeso da cavalieri belli e giovani.

 

E voi? Quali serie manga o fumettistiche state seguendo? Conoscevate una di queste? Quali mi consigliereste?

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