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Deus ex machina

Deus ex machina, ossia un evento imprevedibile e insensato che salva la pelle ai buoni; tutti lo odiano, ma è davvero un male assoluto?

 

Nel teatro greco e latino poteva capitare che quando la matassa era aggrovigliata in modo irrisolvibile, un attore vestito da divinità venisse calato dall’alto e la sbrogliasse, spiegando cos’era accaduto e permettendo il lieto fine tra gli applausi degli spettatori. In un mondo dove le divinità si mescolavano spesso ai mortali, questo genere di interventi era vissuto come un cliché rassicurante anziché qualcosa di artificioso piovuto dal nulla.

Tuttora ci sono casi in cui vogliamo vedere i protagonisti trionfare, soprattutto se dopo innumerevoli sofferenze e prove; vorremmo che calasse una mano dall’alto a salvarli e/o dargli almeno una meritatissima pausa dalle disgrazie.

Un buon autore riesce a trovare un sistema sensato per soddisfare questi desideri, ma quando ciò non succede, il risultato è frustrante e può lasciare a desiderare nonostante il finale più lieto immaginabile.

Il punto non è salvare o non salvare i buoni/i personaggi che servono, ma come.

Il primo criterio per avere un deus ex machina (d’ora in poi DEM) accettabile è che non deve risolvere tutto magicamente al posto dei buoni.

Spesso lo scontro finale è il momento in cui i buoni dimostrano di essere cresciuti e più forti (o caduti senza rimedio) rispetto all’inizio e se questo viene a mancare la sensazione è di essere stati presi in giro. Cosa sarebbe un film d’azione in cui l’ultima scena, invece di essere la più pericolosa e coreografica di tutte, vede il cattivo schiacciato da un meteorite comparso dal nulla? O un fantasy in cui il cattivo di turno, dopo averne fatte di ogni, diventa buono all’ultimo nanosecondo e salva tutti?

È fastidioso se ai buoni viene dato tutto gratis e quello che dovrebbe essere un viaggio appassionante di fatica e maturazione diventa una passeggiata nel parco tra gli applausi dei passanti.

Il DEM è accettabile se invece di risparmiare ai buoni lo scontro finale, lo permette. Se i buoni si sono ampiamente battuti oltre le loro possibilità, “meritano” che accada qualcosa di buono per metterli in condizione di affrontare l’ultimo scontro (anziché vincerlo magicamente senza sforzi). Che sia un alleato che ritorna e gli fornisca un mezzo di trasporto per arrivare al luogo dello scontro finale o qualcosa di simile, è vissuto come un momento catartico e/o fortunato, ma la fatica delle ultime scene non viene affatto risparmiata. Sono del parere che sia un DEM sia il benvenuto anche quando dà una semplice pausa ai protagonisti. Se hanno combattuto per giorni senza riposo contro dei mostri – compresi i propri demoni interiori – si vivrà con sollievo se interviene qualcosa a dargli sollievo. Magari scoprono che la zona non era disabitata come pensavano, oppure riescono a fuggire.

Ma il fattore più importante che può indurre un lettore a piangere di gioia anziché frustrazione è che il DEM non deve mai rompere le regole già note del mondo. Le coincidenze fortunate sono accettabili (se non oltrepassano completamente i limiti di credibilità), che la logica della storia venga contorta, no. Il DEM migliore è uno che oltre a salvare la pelle dei personaggi lo fa in un modo sensato e tale da suscitare una forte emozione.

Ad esempio: in un mondo di spade e magia dove gli equilibri politici possono cambiare in un secondo, gli eroi potrebbero essere traditi da quelli che ritenevano alleati e venire salvati all’ultimo secondo da un ex nemico perché ora la situazione dei rispettivi paesi è cambiata. Dopodiché imparano a conoscersi e ampliano la propria visione del mondo, che da bianco e nera può accogliere qualche sfumatura di grigio (e di mistero: cos’è successo dietro le quinte?).

I diabolicus ex machina – cioè le disgrazie che piovono dal nulla – risultano più credibili, perciò perché non accettare anche i DEM, quando sono fatti bene?

E voi? I deus ex machina vi fanno ammattire o tendete ad accettarli? Fatemelo sapere!

 

 

 

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